La festa al rione (carnevale).
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Una sera al rione Darsena
I rioni, così vivi, sono l’anima del nostro carnevale: musica, profumi, maschere e quel desiderio profondo di far festa. Tra tutte le sere, me ne restano impresse tre. Nulla di speciale... forse.
La prima è una sera di molti anni fa, venticinque o forse di più. Ero un ragazzo, insieme agli amici di sempre, un gruppo enorme, rumoroso, euforico. Che emozione, quella folla di volti familiari! Il risotto di mare aveva un sapore indimenticabile, come lo erano i primi amori, ancora incerti e fragili. Mi piace? Gli piaccio? Quanti dubbi e quante insicurezze che sembravano così insormontabili. Le ragazze erano tutte belle, ma qualcuna di più… Le ricordo ancora, vestite da crostatine – un dettaglio che mi sfugge ormai, ma che resta vivido per quell’unico sguardo incrociato subito dopo. Tra mille occhi, uno solo, ed ecco un balzo al cuore. Solo un attimo, eppure impresso per sempre. Ricordo le risate, le bevute, gli abbracci sui marciapiedi, i momenti in cui ci si perdeva tra la folla e ci si ritrovava altrove, come in un gioco infinito tra i palchetti e la musica che non smetteva mai.
Anni dopo, quella sera eravamo solo in due. Ma eravamo tutto. Camminavamo piano, mano nella mano, attraversando il caos dei ragazzi, come eravamo stati anche noi. Un girotondo lento, intimo, una danza silenziosa. Un risotto, uno solo, ma condiviso come fosse il migliore mai mangiato. Poi una lunga passeggiata fino in cima al molo, parlando di tutto, delle nostre paure e dei nostri sogni. Una calma notte di febbraio in cui il futuro ci sembrava un luogo vicino e sereno.
Qualche sera fa sono tornato al rione. Questa volta da solo. Ho camminato piano per le strade, osservando i ragazzi di oggi, quelli che fanno casino, quelli che si cercano e si trovano. Mi sono mosso tra la folla, cercando senza sapere cosa. Ho raggiunto la cucina e, come allora, ho preso un risotto di mare. L’ho mangiato da solo, con calma, assaporando ogni boccone. E poi ho iniziato a cercare, di nuovo. Mi voltavo a ogni volto, a ogni risata, sperando di riconoscere qualcuno, ma niente. Volti sconosciuti, e ad ogni richiamo familiare mi voltavo, solo per accorgermi che non era per me. Ed è in quel momento che la solitudine ti prende alla gola, come un nodo che ti impedisce quasi di respirare.
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